Piazza Fontana, per chi non c’era.
di Paolo Romano.
Il 14 Dicembre abbiamo avuto l’occasione di ascoltare dalla voce di Claudia Pinelli, figlia del ferroviere Pinelli, e di Mario Consani, giornalista, la ricostruzione di quei giorni di Dicembre del 1969 che hanno cambiato il volto della nostra democrazia.
Per chi è nato ben dopo il 1969, è difficile capire l’aria che si respirava in quell’epoca. Eppure, Consani ha pennellato alla perfezione le tensioni, le trame politiche di un’Italia divisa in cui la politica permeava ogni aspetto della società e della vita delle persone.
Un’Italia che il 12 Dicembre 1969 è stata scossa da una bomba che ha squarciato in un solo momento il pavimento della Banca Nazionale dell’Agricoltura di Piazza Fontana, la vita di decine di famiglie, e l’innocenza di uno Stato. Oggi sappiamo con una verità che è giuridica oltre che storica che quella bomba, come le altre di quel 12 Dicembre, furono piazzate da gruppi di estrema destra di matrice fascista.
In questo sfondo, si muove la testimonianza e la voce di Claudia Pinelli. L’abbiamo ascoltata attoniti, quasi in trance, descrivere con un tono fermo ma calmo una storia che scavalca vita personale e politica, quotidianità e fatti di cronaca. Perché nelle parole di una figlia cresciuta senza padre, nella storia di un uomo che ha segnato, innocente, una delle pagine più buie dell’Italia repubblicana, la storia del nostro paese e quella di una famiglia come tante si fondono, si intrecciano.
Così abbiamo sentito raccontare le abitudini di Giuseppe Pinelli, partigiano, padre, anarchico, marito, ferroviere. Abbiamo conosciuto l’uomo dietro il simbolo, e lo abbiamo rivissuto cadere quella notte del 15 dicembre, cadere da una finestra della questura di Milano, vittima dello Stato.
Abbiamo ascoltato l’attorcigliarsi delle vicende giudiziarie che ancora oggi restano incomplete, sospese, come le due targhe che ricordano Giuseppe Pinelli in Piazza Fontana. Ed io, personalmente, ho avuto paura. Paura di cosa possono diventare le istituzioni, nate per rappresentare e tutelare ognuno di noi. Paura di istituzioni che mentono, depistano, si rendono responsabili direttamente o indirettamente dello spezzarsi di vite innocenti.
Così, da giovane 26enne che nelle istituzioni oggi presta il suo servizio, uscendo con gli occhi rossi da quella sala, mi sono chiesto: cosa può trarre una studentessa ed uno studente da questa storia? Cosa può portarsi a casa?
Dapprima ho pensato: Può portarsi a casa la rabbia di vite innocenti strappate dal terrorismo nero. Può portarsi a casa l’ingiustizia di una famiglia spezzata che ha dovuto subire l’onta di accuse false e ricostruire mattone per mattone la propria vita. Può portarsi a casa il fallimento di uno Stato coinvolto, connivente, che depista, che costruisce una verità utile alla politica, una verità facile. Uno stato che uccide.
Ma forse, forse, può scegliere di non fermarsi qua. Può portarsi a casa le scritte sui muri di Milano raccontateci da Claudia, muri che dicevano “Pinelli innocente”. Può portarsi a casa il coraggio e la dignità di una figlia che ormai è madre, che racconta la sua storia ancora ora a voce ferma. Può portarsi a casa la verità, se non gudiziaria, almeno storica: che Giuseppe Pinelli era innocente, che quella bomba la misero i fascisti. Può portarsi a casa le voci delle milanesi e dei milanesi che ricordano Giuseppe Pinelli, vittima innocente.
Perché anche di fronte ad istituzioni corrotte, possiamo sempre scegliere la verità. Possiamo sempre scegliere di credere che “lo Stato siamo noi”, con le nostre azioni, la nostra memoria, la nostra capacità di raccontare e di imparare.